Il giorno senza tempo

11 giugnoil mio primo sabato davvero libero da impegni giornalieri.

Incredibile, ma proprio così. Nessun impegno di qualsiasi tipo, nessuno. Non mi ricordo l’ultima volta che ho preso la bici in solitaria e sono partito senza pensare all’ora del mio rientro. Si, l’estate scorsa, ma era agosto appunto e non ero in solitaria perchè ero con Sofia in vacanza.

Sapevo che sabato il meteo mi avrebbe accompagnato fino al tardo pomeriggio, dopodichè sarebbero arrivati i quotidiani temporali. Dunque l’unico vincolo sarebbe stato quello di evitare la pioggia delle 17, ma uscendo verso le 10 del mattino, non avrei avuto problemi.
Preparo tutto il necessario e anche qualcosa di più sapendo che l’uscita sarebbe stata più lunga del previsto e avrei potuto dirigermi verso le montagne che circondano la provincia torinese. Qualche barretta energetica, un 10 €, il telefono e un antivento leggero a supporto di un altro che già porto con me normalmente.
Parto da Pianezza e arrivo a Lanzo, un percorso che affrontiamo abitualmente, poi un caffè prima dei 10 km per salire a Chiaves. Al mio passo, senza ritmi obbligati o qualcuno più svelto da inseguire. Questa è una salita sinuosa e con totale assenza di traffico, nulla di meglio per ascoltare, guardare, pensare…e ritrovare se stessi.
Non ho orari, non ho pensieri. Voglio solo pedalare fuori dal caos e raggiungere la cima dove so di poter trovare il solito bar aperto per una Coca Cola e una barretta, metodo infallibile per fare il pieno di zuccheri e recuperare dopo i primi 40/50 km e circa 700 mt di dislivello.
A decidere cosa fare in seguito lo deciderà il mio fisico al termine della discesa. Inizio dunque a scendere lungo la strada che riporta in basso verso Germagnano e dopo non molto arrivo al bivio che cambierà (e non poco), la mia pedalata solitaria.
Se tiro dritto, ritorno sulla strada di casa, magari con qualche variante, ma non di molto. Se invece giro a destra e attraverso il ponte…ecco, lì si che cambia. Significa iniziare la salita fino al paese di Viù e so già che a quel punto non tornerei indietro per nulla al mondo e affronterei la salita fino ai 1.311 mt del colle del Lys.
Decido che questa giornata, tutta per me, dovrà durare ancora un bel po’. 
Giro a destra, rapporto agile e salgo sciolto fino a Viù. Una salita costante e ritmata che costeggia il fiume per buona parte e dopo non molto arrivo nella piazzetta del paese dove mi preparo al meglio per il Colle del Lys con un’altra Coca Cola e un toast.
Da qui in poi la faccenda sarà un pò più seria.
Esco da Viù, passo le frazioni di Molar e poi San Giovanni e con un passo costante affronto la salita.
Questa strada, che sia da un versante o dall’altro, la conosco molto bene avendola fatta per molti anni con le vetture da rally ed è forse la prima volta che posso contare sulle dita di una mano le vetture incrociate.
Non c’è nessuno, ma dico nessuno. Un Col del Lys silenzioso, ovattato, salvo il suono della mia bici, uccellini e il rumore del vento tra gli alberi.
Il “Lys”, in questo sabato di giugno particolarmente grigio, è per me il più bello di sempre.
Sarà perchè mi sono alimentato adeguatamente o forse per la voglia repressa da mesi di scalare qualche vetta, questo non lo so, ma pedalo fluido e costante come non mai e l’arrivo allo scollinamento giunge in fretta.
Penso che la mia forma non è poi così male come immaginavo…forse il progetto estivo di attraversare la Route Des Grandes Alpes si può fare. Eh si, questa è l’idea che mi gira per la testa da questo inverno, ovvero partire da Thonon les Bains, sul lago di Ginevra, e pedalare per 700 km arrivando in Costa Azzurra. Tutto in 7 giorni, affrontando 16 passi alpini che hanno fatto leggenda: Galibier, Izoard, Colombiere…per un totale di 15.713 mt di dislivello.
Perso in questi pensieri raggiungo la panchina dove fare le classiche foto di rito, riempire la borraccia e aggiungere qualche strato di abbigliamento. Non fa caldo come ci si aspetterebbe a giugno e c’è ancora bisogno di coprirsi al termine di una bella salita.
Prima di risalire in sella guardo il mio Garmin. Sono a 80 km e 1950 mt di dislivello positivo.
 
Da adesso inizierà una discesa di circa 10 km che mi riporterà ad Almese, il paese dal quale parte la salita “classica”.
Non vedo l’ora che finisca.
Faccio sempre più fatica ad affrontare queste lunghe discese che a salire. E pensare che la velocità è qualcosa che mi appartiene fin da quando ero un bambino, da quando mio padre, all’età di 6 anni, mi mise su un gokart, con il risultato di avermi iniettato il virus della velocità, delle traiettorie, delle staccate all’ultimo metro…tutti elementi in comune tra motorsport e ciclismo e che mi hanno fatto scegliere la bici da strada come mia prima passione.
Rapidamente scendo a valle e sono costretto a svestirmi nuovamente, prima di affrontare gli ultimi noiosi e trafficati km verso casa.
Chiudo questa pedalata in solitaria a 111 km e 2050 mt di dislivello. Ma dei dati, tutto sommato, poco mi importa.
Ho pedalato, faticato, pensato, osservato e “guidato”.
Mi sono riappropriato di quel ciclismo ancestrale che poco o nulla condivide con il ciclismo in quanto sport.
Ma soprattutto, almeno per oggi, non ho guardato l’orologio e ho ritrovato un po’ della mia libertà.

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